Nel panorama internazionale del vino, i rosati attraversano una fase di resilienza: nonostante il calo generale dei consumi di vino fermo dopo il picco del 2019, il segmento rosato resiste meglio, mantenendo quote stabili e persino registrando qualche crescita locale.
Il vino rosato, lungi dall’essere un semplice intermezzo tra il bianco e il rosso, sta diventando un attore con peso proprio, grazie a un mutato gusto del consumatore che predilige freschezza, leggerezza e convivialità. Anche in Italia questa tendenza è evidente, seppure con le sue peculiarità e obiettivi ancora da raggiungere.
I dati globali mostrano che i consumi mondiali di rosé hanno superato i 18-20 milioni di ettolitri prima della pandemia, hanno raggiunto un picco nel 2019 e poi hanno rallentato, ma nel complesso i rosati hanno subito una perdita minore rispetto ad altre tipologie di vino fermo.
L’IWSR segnala che nel periodo 2019-2023 il vino fermo è calato di circa il 3,8 % in volume, mentre i rosé hanno registrato un calo contenuto, intorno all’1,7 %.
L’Observatoire Mondiale du Rosé indica che oggi, se si considerano tutti i vini consumati nel mondo, oramai una bottiglia su dieci è rosato.
In Italia, il comparto del rosato sta mostrando segnali incoraggianti nei canali della distribuzione moderna (GDO, discount, e-commerce).
Nel 2023 il valore delle vendite di rosati è cresciuto del 7,2 % rispetto all’anno precedente, raggiungendo circa 185 milioni di euro, con i vini fermi che contribuiscono per 132 milioni e quelli bollicine per 52 milioni.
I volumi, anche se in crescita, segnano un +0,9 %, con quasi 48,7 milioni di litri venduti. Si tratta di un miglioramento che mette in evidenza la capacità del rosato di stare meglio nei mercati al dettaglio rispetto ad altri vini, che perdono volumi più marcati.
Tra le denominazioni italiane, il Cerasuolo d’Abruzzo domina il segmento dei rosati DOP: nel 2023 ha totalizzato circa 12,8 milioni di euro in valore, con un incremento di +17,5 % su base annua, per volumi pari a circa 3,5 milioni di litri.
Il Chiaretto di Bardolino, dopo anni di crescita, ha superato i 4 milioni di euro nel 2023, ma nei primi mesi del 2024 mostra un segno meno sia in valore sia in volume.
Produzione, stile e identità
Il rosato non è un genere monolitico: in Italia convivono diverse tradizioni di produzione, vitigni autoctoni e stili.
Esistono rosati di struttura, pensati per accompagnare piatti complessi, versioni leggere e immediatamente godibili, rosati spumanti che vivacizzano occasioni festive, versioni più scure come certi ramati che risaltano per sapidità o corpo.
Il grado alcolico spesso è più contenuto, il colore è un fattore estetico ed emozionale forte: tonalità tenui, quasi trasparenti, oggi sono percepite come sinonimo di eleganza, freschezza e modernità. Questo stile provenzale sta influenzando anche realtà italiane che fino a poco tempo fa avevano un approccio più tradizionale al rosato.
La tecnica produttiva (macerazione, bleeding / saignée, pressatura diretta) gioca un ruolo importante: la durata del contatto con le bucce, la scelta del vitigno, il terreno, le condizioni climatiche definiscono non solo il colore, ma anche la sapidità, l’acidità, la freschezza e la longevità stessa del vino.
Ecco quindi che alcune bottiglie di rosato italiano stanno guadagnando in prestigio, giudizi e riconoscimenti internazionali: ad esempio il Cannonau di Sardegna Nudo 2023 di Siddura ha ottenuto 96 punti in una valutazione mondiale, segno che la qualità è ben percepita.
Il peso internazionale e la sfida dell’export
L’Italia è tra i principali produttori e esportatori mondiali di rosato. Pur non avendo – al momento – lo stesso impatto mediatico e di branding della Provenza, il nostro Paese si posiziona bene per varietà, per qualità e per capacità di offrire rosati nella fascia media, con un buon rapporto qualità/prezzo.
Nei mercati esteri, il rosato italiano incontra interesse soprattutto per il suo stile mediterraneo, la sua versatilità gastronomica e l’identità territoriale.
Tuttavia la competizione è dura: per mantenere e crescere serve investire non solo nelle vigne e nelle cantine, ma anche nella comunicazione, nel packaging e nelle strategie digitali.
Un esempio utile di riferimento internazionale viene dalla Provenza: nel 2023, i rosati del marchio Vins de Provence hanno esportato oltre 55 milioni di bottiglie, con un volume che sfiora i 411.461 ettolitri, e un valore che ha mostrato una crescita del 22 % in cinque anni.
Il prezzo medio di una bottiglia esportata è aumentato, segno che non solo si punta sulla quantità, ma anche sul valore – sulla premiumizzazione.
Prospettive e punti critici
Guardando al futuro, il rosato italiano si trova davanti a un bivio: può approfondire la strada della qualità, dell’identità territoriale e della tipicità, oppure rischia di rimanere confinato a uno status di vino da consumo quotidiano, senza visibilità internazionale forte.
Un punto chiave sarà la capacità delle cantine più piccole di gestire costi, normative, distribuzione e accesso ai mercati esteri, soprattutto in contesti economici incerti come quelli attuali.
Inoltre, l’attenzione crescente verso la sostenibilità, il minor uso di zuccheri residui, vini a minore gradazione alcolica, e packaging eco-friendly rappresenta una sfida ma anche un’opportunità: chi saprà interpretarla potrà differenziarsi.
Infine, non potremo prescindere dagli effetti delle politiche economiche: tariffe, logistica, costi delle materie prime (vetro, energia, trasporti) pesano più di prima su vini che non sempre godono di margini elevati.
Un rosato futuro per l’Italia sarà quello capace di fondere estetica, filosofia produttiva e mercati con intelligenza: non solo un vino rosa bello da vedere, ma uno stile di vita e un prodotto che racconta un territorio.

